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(fair use di immagine wikimedia commons rilasciata nel pubblico dominio, autore Abbasnullius)
Apprezzato da secoli per le sue virtù terapeutiche, il carciofo è una pianta erbacea perenne che deriva dalla selezione, attuata dall’uomo, del cardo selvatico. La parte commestibile è rappresentata dall’infiorescenza, detta capolino, costituita da un cuore, la parte migliore del carciofo, e da numerose foglie carnose, o brattee, più o meno spinose, che lo racchiudono. Già noto sin dal tempo degli Egizi, ha conosciuto la sua maggiore diffusione in Occidente a partire dal XII secolo per merito degli Arabi: non a caso, il nome italiano deriva dal termine “charsciof”. Oggi se ne coltivano circa 400 tipi: in Italia, primo produttore a livello mondiale, con una quota mediamente pari al 50% della produzione complessiva, ne sono presenti un centinaio. La raccolta va dall’autunno per le varietà precoci (dette anche rifiorenti), sino alla primavera (varietà tardive). In base alla presenza e allo sviluppo delle spine si distingue fra varietà spinose e inermi: le prime sono adatte al consumo crudo mentre le inermi sono ideali per le elaborazioni gastronomiche. In base al colore del capolino si distingue infine tra varietà verdi e violette. Le varietà prevalentemente coltivate in Italia sono sostanzialmente riconducibili a quattro tipologie principali: lo spinoso sardo, il catanese, il romanesco e il violetto di Toscana. Lo spinoso sardo, originario e tipico della Sardegna, è presente anche in Sicilia e nel Lazio. Ha forma tipicamente conico-allungata ed è caratteristico per gli evidenti aculei. Gode di una produzione cospicua con un lungo calendario di raccolta. In Liguria è coltivato con il nome carciofo spinoso della Liguria, o “riviera”, è molto tenero e indicato per essere consumato crudo o anche impanato e fritto. Oltre la metà della produzione italiana è costituita dal tipo catanese, diffuso in Sicilia, in Puglia e in Basilicata. Privo di spine, di pezzatura media, ha forma allungata e ovoidale con foglie verdi con sfumature più o meno violacee. Il romanesco, detto anche “mammola”, è coltivato estesamente in Lazio e in Campania. Il gambo è grosso e diritto, le brattee sono serrate, prive di spine, di colore verde intenso con sfumature violacee o rossastre. La consistenza delle foglie interne e del cuore è molto morbida. La mammola è l’ingrediente esclusivo di due celebri piatti della tradizione: i carciofi alla “giudìa” (immersi e fritti interi nell’olio d’oliva) e i carciofi alla “romana” (farciti con aglio ed erbe aromatiche, poi stufati in acqua e olio). Il violetto di Toscana è piccolo, allungato e violaceo con la parte terminale delle brattee ricurva verso l’esterno. Preparato a spicchi è squisito nel risotto o con le tagliatelle. Il carciofo è un alimento tonico e digestivo ed è ricco di virtù diuretiche e depurative, derivanti soprattutto dalla presenza della cinarina, ed anche un utilissimo epatoprotettore. E’ ricchissimo di ferro e contiene una buona dose di fibre, potassio, vitamina B, poco sodio e ed è privo di grassi. Un buon carciofo deve avere colore uniforme e consistenza soda, brattee ben unite e con le punte chiuse, gambo lungo e duro e con foglie fresche. Quando viene tagliato annerisce al contatto con l’aria, quindi è meglio passarlo con mezzo limone, o gettarlo in una bacinella con acqua acidulata. E’ molto buona e delicata anche la parte tenera del gambo, che di solito si scarta. Uno dei modi per assaporare i carciofi è senza dubbio il pinzimonio, con olio extravergine, sale e pepe. Crudi, possono arricchire un’insalata mista di verdure e formaggio, usando naturalmente solo la parte tenerissima del cuore. Chi vuole stare leggero può mangiarli bolliti, conditi con olio, limone e sale. In cucina si prestano in tutti i modi: dai carciofi impanati e fritti a quelli aromatizzati con aglio e prezzemolo, stufati nell’olio o arrostiti sulla brace a quelli ripieni di carne, uova o salsiccia, alle frittate, alle deliziose creme. E poi ancora nei risotti, torte salate, soufflé, ma soprattutto sott’olio, dopo averli lessati con oculatezza.

Guido Tampieri